Coraggio Liquido. (quasi) Un anno dopo.

Postdatato, confesso, ma mai avrei creduto che il mercoledì sera potesse trovarmi in quelle condizioni. 
Con le ossa rotte e con forti dolori alquanto preoccupanti.
Ieri parlavamo lingue diverse, non potevi essermi d’aiuto, e comunque il mio pessimo umore ha solo reso le cose più difficili. Non sentirti in colpa, davvero non avresti potuto farci niente.
Una di quelle giornate da cancellare, che non meriterebbero di essere vissute, anche se forse non è stato proprio tutto da buttare via.
Sopravvissuto nelle vesti del lattaio come meglio si poteva, cercando di aggrapparmi a due o tre cose che sembravano essere state messe lì dall’Immacolata in persona con l’unico scopo di dare una schiarita alla mia giornata. 
Vero, forse potevo evitare di scrivere al Cavaliere Nero quando mi hanno chiesto il latte sardo, ma non potevo andare avanti a rifornire con il dubbio che sti due fenomeni me li avesse mandati proprio lui. 
Poi “da Rozzano fino a Massafra” passando per il magazzino di Via Conciliazione, c’erano due cretini che se la sono risa un sacco immaginandosi una versione cantata dal Bro (leggasi con accento siciliano… marcato… marcatissimo, Dio non sai quanto!) di un pezzo di Night Skinny, Kid Yugi, Paky. 
Perché?
Perché una volta assodato che “Rolex fa ta-ta-ta”, non puoi accontentarti di “Stronzo, senti come pompa il sub!” se prima non ti sei immaginato Angelo smistare bancali mentre delizia il suo pubblico con la sua “divido brodi, divido dadi, divido sughi nei vasetti”.

Se hai capito queste parole: molto bene.
Se non hai capito queste parole: sti cazzi!
Nemmeno io martedì sera ho capito la partita della Vecchia Signora contro il temibile VfB Stuttgart.
Ma una cosa, con il tempo, l’ho capita. E anche molto bene:

Brunino caro, non metterti a scrivere quando sei di un umore di merda.

Doveva essere una storia sulle mie dipendenze, sui miei lati d’ombra, conditi con un po’ di gusti musicali che magari non ti aspetti da me. 

Ho detto che non ne parlerai oggi. Rispetta la regola.

La cosa divertente è che non sempre ho rispettato questa regola (ma va?), e che forse la cosa più bella che ho scritto in tempi recenti nasceva proprio in un periodo non molto diverso da questo.
Liquid Bravery il suo titolo, quasi un anno di vita, la cosa che più mi rende orgoglioso e che più detesto allo stesso tempo tra quelle uscite “dalla mia penna”.
Non che fosse scritta così tanto bene, e non che me ne stia vantando (se un pochino mi conosci, sai che non lo faccio mai), ma leggere tutto quell’insieme di carinerie alla sua fine un po’ mi ha fatto sorridere e pensare.
Forse (forse) un lato umano di questo demone esiste ancora, seppellito e chissà quanto nelle profondità. 
Fa sempre ridere quando lo vedo riaffiorare, nonostante tutte le volte poi io finisca per pentirmene.

Le righe che seguono fanno proprio parte di quel post, datato 20 Dicembre 2023.
Se non hai voglia di immergerti nuovamente in quelle storie, puoi anche fermarti qui. 
Se non sai di che cosa sto parlando, o se vuoi vedere l’effetto che ti fa a distanza di un po’ di tempo, resta ancora qualche minuto con me. 
Se ti va, ovviamente.

Liquid Bravery
20 Dicembre 2023

Avrei tanto voluto essere padre.
No, non sto scherzando. E nemmeno sto lasciando volutamente una frase così a caso, sfiorando quello che in futuro sarà il mio più grande rimpianto, per poi passare a scrivere di tutt’altro. 
Mi è solo venuto di fare così.
Ti starai chiedendo “e adesso come ne esci?” 
Facile, ricomincio da capo e te la completo. 

Avrei tanto voluto essere il padre di questa espressione, la trovo magnifica. Vuoi per il forte legame con il Wizarding World della Rowling, vuoi per la mia “dipendenza” dall’alcool, vuoi per quello che ti pare, ma per me è davvero così.
Viene da una conversazione su whatsapp con una mia amica, nota insegnante di inglese, e con spiccate capacità nel preparare piatti di carne. Ammesso che tu abbia una masticazione così forte da combattere una consistenza così “tenace”, ma questa è tutta un’altra storia.
Le scrivo che avrei avuto tanto bisogno di lei. Ero ancora in negozio a fine turno e mi chiamano dall’assistenza clienti per un piccolo problema con una ragazza che non conosceva una parola di Italiano. Credevo davvero che sarei stato capace di tirare fuori il mio miglior inglese, e davvero speravo che andasse proprio così, ma se stai sperando di leggere una disavventura del lattaio con l’innamoramento facile sappi che resterai molto deluso.
Vuoi che avevo troppe persone intorno e che quel posto iniziava a sembrarmi decisamente troppo affollato, vuoi che mi stavo sentendo decisamente troppo al centro dell’attenzione, e ancora una volta: vuoi per quello che ti pare, ma non sono stato per niente all’altezza della situazione. 
Lei mi scrive di non capire, io le rispondo che ci ho capito anche meno.
Non sono il tipo di persona che si vanta di cose a caso, tutt’altro, ma non mento se dico di conoscere particolarmente bene l’inglese e che praticamente mai mi trovo in difficoltà nel doverlo comprendere, leggere, scrivere o parlare.
Mi giustifico dicendo che probabilmente non ero abbastanza ubriaco per poterlo parlare fluentemente, e lei mi risponde così:

“Sì, effettivamente il coraggio liquido aiuta molto a volte”.

Poesia.

Ora il punto della questione è che queste righe non possono diventare uno spot sull’alcool, un po’ perché penso sia troppo pericoloso raccontarti di quanto io trovi tutto molto più facile quando alzo il gomito, quando certi “blocchi” vengono superati o momentaneamente ingannati, e un po’ perché in realtà avevo voglia di allargare il discorso, portarti da un’altra parte, e di tirare in ballo anche altri rimedi per altre questioni.

Non gira bene, non va bene proprio per un cazzo, ma stamattina mentre andavo a lavorare mi sono detto “sai cosa c’è? Vai in culo” ed ho cercato su Apple Music proprio questa canzone, battezzandola come la prima della giornata. 
È con me da molti anni, da quando, in un momento imprecisato a metà dei 90s, mia nonna mi accompagnò da “Non solo musica”, negozio di dischi che se ne stava verso la fine di Via Roma a Portici, e spese trentamila lire per regalarmi Jazz dei Queen (1978).
Se ti dovesse capitare di ascoltarlo, troverai alla traccia numero dodici “Don’t stop me now”.
Anche Brian May in persona, che inizialmente detestava quella canzone a causa di tutte le cose che stava combinando Freddie Mercury in quegli anni, si è dovuto arrendere alla sua bellezza, alla capacità di farti sentire un po’ più vivo che è rimasta intatta nei decenni in quelle note. 

Freddo da dio, cappuccio tirato su, cuffie, una Marlboro. Non riuscivo a smettere di sorridere mentre me la canticchiavo a memoria, sentendomi invincibile, sulla cima del mondo, per tutti i suoi tre minuti e ventinove secondi. Guarda come ti trovo il coraggio di affrontare una giornata che non vorrei affrontare, mentre non avrei voglia di fare assolutamente nulla.

Non chiedermi cosa c’è che non va. Non rispondermi “non ci credo” se ti dico “tutto ok” mentre la mia faccia dice altro. Non tentare ad indovinare quando ti dico “ok per un cazzo, ma discorso chiuso e parliamo di altro”.
Primo: non ti interessa per davvero. E secondo: ho sempre mal sopportato chi mi vomita addosso tutte le sue cose nella speranza di ottenere chissà quale beneficio, non vedo perché dovrei farti subire lo stesso trattamento.
YOUR SUFFERING IS NOT UNIQUE.
E così sia!
So bene come cercare di risolvere i miei guai, o comunque come cercare di non apparire troppo musone o di non fartelo pesare nei giorni “più neri”. Ho il coraggio liquido, ho i rimedi della nonna, e va bene così

Vuoi davvero essermi d’aiuto?

Sto bene quando mi venite a prendere alla stazione e vi trovo sul binario con un cartello con su il mio nome in stile “aeroporto”.
Sto bene quando senza nessun motivo inizi a cantare “tú y yo a la fiesta, tú y yo toda la noche” facendomi spaccare dalle risate.
Sto bene quando, vestito da studente di Durmstrang, interpreti l’ingresso nella sala grande di Viktor Krum, sottolineando la strabiliante somiglianza fisica tra te e lui.
Sto bene quando guardiamo Amici dopo aver pranzato insieme, prendendo in giro tutto e tutti e commentando come due critici musicali di grande esperienza.
Sto bene quando chiami “sto dinosauro” la renna luminosa comprata dalla tua dolce metà per rendere più natalizio il tuo balcone già illuminato peggio di Parigi di notte.
Sto bene quando mi abbracci e mi prendi in giro con il tuo “sarà mica colpa della figlia del fornaio, vero?”.
Sto bene quando ridi alle mie minacce di “scavalcare il bancone se lo rifà un’altra volta” dopo che la barista ha passato la lingua sul brillantino che ha su un dente, con quella faccia da schiaffi poi, Madonna Santa.
Sto bene quando mi sorridi e mi canti canzoni in napoletano per addolcirmi le mattinate.
Sto bene quando cerchiamo di decidere se è stato più pesante il tuo due di picche preso dal ferroviere, o il mio aver mal interpretato le intenzioni della ricciolina che non voleva “un assaggio del milk delivery boy with a small toy”, ma solo non si sa cosa.
Sto bene quando suoniamo insieme del punk-rock e quando non riusciamo a beccare lo stacco ska di “Silvia Saint”senza ridere come due idioti.
Sto bene quando vieni da me, quando “assecondi” il mio debole per i film sci-fi ed io “assecondo” il tuo trovarmi un figo e finiamo sotto le lenzuola.
Sto bene quando finiamo insieme il turno e passiamo due minuti a parlare di calcio e di stronzate per poi ridere insieme del mio aver quasi acceso una sigaretta mentre ancora non ero uscito dal negozio.

Sì, sono tutte persone diverse, avvenimenti più o meno recenti che hanno salvato la situazione senza essere troppo invadenti. Sembrava una bella idea mentre la stavo scrivendo, ora decisamente meno, ma va bene così. Almeno ho chiuso l’argomento in maniera diversa dal solito.
No, la cosa non comprende l’insulto finale tipico delle cose che scrivo, è solo che ieri sera il Napoli ha preso le sberle dal Frosinone e non vorrei urtare la sensibilità di nessuno usando la lingua dei partenopei.

Quindi “italianizzo”…
Quella grande cessa di tua madre.
Ok, può andare.
Buona Serata.
Your favorite milk delivery boy.

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